Famiglie. Ocse "L'Italia agli ultimi posti in Europa per spesa pubblica destinata ai nuclei familiari". Difficile in Italia essere mamme e lavoratrici

di redazione 29/03/2019 ECONOMIA E WELFARE
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Stando ai dati di vari istituti di statistica, nel caso particolare i dati dell'Ocse, si rileva che le politiche e il welfare pro-family cambia da Paese a Paese, con evidenti conseguenze sulla geografia della famiglia. Euronews ha voluto focalizzare l'attenzione e tradurre in grafici i dati che ci dicono in percentuale da quanti membri sono composte le famiglie, la spesa destinata alla famiglia e se nei nostri Paesi, negli ultimi anni, ci si sposa o si divorzia di più.

Gli Stati del Nord Europa ai primi posti

Guardando i dati sulla spesa pubblica destinata alla famiglia, rileviamo che negli Stati europei del nord questa è maggiore e la Danimarca svetta in cima al podio. Copenaghen consacra il 3,4 % del Pil alla spesa pubblica destinata alle famiglie.

"In Danimarca, le coppie non sono costrette a scegliere tra lavoro e famiglia perché le politiche familiari sono molto avanti", dichiara Olivier Thévenon dell'Ocse.

Questo si riflette nel tasso di natalità ed anzi, come aggiunge sempre Thévenon, è un fattore di stabilizzazione per il tasso di natalità e per il lavoro.

Nel caso della Danimarca, la dimensione del Paese fa la sua parte, ma c'è da aggiungere che la Danimarca, rispetto anche agli altri Paesi del Nord Europa, è più omogeneo dal punto di vista della sua geografia, della popolazione e del reddito, tutti fattori che portano a un'omogenizzazione dei comportamenti e delle preferenze della popolazione.

Quello che rileva l'Ocse è che le ineguaglianze per accedere ai servizi per la famiglia sono ridotte, "che tu sia benestante, ricco o povero, spiega Thévenon, puoi accedere agli stessi servizi".

Non è così in altri Paesi come la Francia (con una fetta di spesa pubblica destinata alla famiglia pari al 2,9% del Pil), per esempio, dove c'è stata fin dal secondo dopoguerra una fortissima politica di natalità.

"In Francia non è così, e le disuguaglianze sono ancora molto forti, paradossalmente una coppia che ha un reddito più modesto gode di minor aiuti. Faccio un esempio, chi vive in una periferia disservita dai trasporti pubblici dovrà ingegnarsi per portare i bambini all'asilo o alla materna".

Nella patria dell'egalité l'accesso ai servizi per la famiglia non è uguale per tutti anche se la famiglia è molto tutelata come vedremo in seguito.

"È anche una questione culturale", aggiunge Thévenon che lascia intendere che certe pecche, o mancanze, sono accettate perché parte integrante della cultura di un certo Paese.

È un dato di fatto che tutti i bambini in età prescolare in Danimarca frequentano il nido e la materna perché lo Stato si fa carico interamente dei costi. Elemento importante che si riflette anche in seguito nella buonissima performance dei ragazzi danesi a scuola.

Non è però tutto oro quel che lucicca sotto il sole danese, e anche questa società cambia più velocemente di quanto non faccia il diritto.

"Gli ambienti familiari sono complessi – dice sempre Thévenon - cambiano con il tempo mentre il sistema di aiuti alla famiglia si rivolge a un sistema famiglia di tipo tradizionale".

Di fronte a quello che è uno stato di fatto, dice ancora l'analista Ocse, bisogna procedere, e quindi legiferare, tenendo presente l'interesse dei bambini e il loro diritto di partire tutti alle stesse condizioni.

Stati del Sud Europa

Le politiche familiari negli Stati del Sud Europa raccontano un'altra storia, la famiglia resta l'asse portante della società, ha un ruolo forte e fortemente solidale ma è vissuta come un affare privato cosa che riflette la reticenza delle politiche che preferiscono non intervenire in quelli che sono considerati affari interni.

Detto in altri termini, abbiamo politiche rivolte alla famiglia che tradiscono un forte ritardo e culturalmente questo è considerato quasi normale perché in Paesi come Italia, Spagna, Grecia e Portogallo esiste una rete di sicurezza familiare cui si demanda una parte del welfare pro family.

Basta pensare ai nonni in Italia, che sono, a seconda dei casi, asili nido, scuole materne, babysitter e grazie al loro aiuto, incondizionato, le mamme possono tornare al lavoro dopo la maternità.

Paesi dell'Europa dell'Est

La politica verso la familia è lacunosa anche nei Paesi dell'Europa dell'Est, dove peraltro si è assistito a un ritorno al passato dopo la caduta del muro di Berlino.

Sotto i vari regimi comunisti, infatti, lo Stato arrivava ovunque; dopo il 1989 prendono piede ideologie conservatrici in reazione al comunismo, si assiste a un ritorno alla famiglia e tra le misure a favore della famiglia si rileva un congedo maternità per le donne particolarmente lungo. Arma a doppio taglio, però, perché diventa difficile poi tornare al lavoro e fare carriera. Negli ultimi decenni si è assistito a un calo nel tasso di fecondità che è stato combattuto con incentivi per i bebé.

Nonostante alcune considerazioni fatte qualche riga sopra, l'esperto Ocse insiste sul fatto che "la Francia è il solo Paese dove si parla in modo specifico di politica della famiglia".

Tre anni fa si volevano rivedere gli assegni di famiglia, togliendoli a quelle con un reddito superiore ai 6000 euro al mese; ci fu una vera e propria levata di scudi e alla fine gli assegni si tennero anche per le famiglie più aisées ma vennero dimezzati.

"Si passò da 80 a 40 euro circa - spiega Thévenon - non è tanto la cifra in sé che portò a far barriera quanto il fatto che bisognava preservare il principio di universalità per cui la famiglia è famiglia sempre e deve essere 'attenzionata' sempre, sia che sia benestante sia che non lo sia".

La famiglia in Francia resta un pilastro della politica nazionale, che le consacra una fetta di spesa pubblica pari al 2,9% del Pil e che trova un consenso trasversale nei governi di diverso colore, questo è anche motivo di grande fiducia dei cittadini nei confronti delle politiche dello Stato, che li portano a vivere più serenamente, almeno rispetto all'Italia, la creazione di una famiglia.

SPESE DELLE FAMIGLIE ITALIANE

La salute è la prima voce di spesa di welfare per le famiglie italiane: 37,7 miliardi all'anno, +11,9% rispetto a un anno fa, pari a un esborso medio di 1.476 euro all'anno per nucleo familiare. La spesa delle famiglie nelle principali aree di welfare ammonta nel complesso a 143,4 miliardi (+6,9% sul 2017), un valore equivalente all'8,3% del Pil.

Gli italiani spendono 32 miliardi all’anno per trasporti e pausa pranzo 
Le due voci “trasporti da e per il luogo di lavoro” e “pausa pranzo” costano agli italiani 31,9 miliardi di euro all'anno. è la seconda voce di spesa delle famiglie: + 2,2% rispetto a un anno prima. La ricerca ha indagato la domanda di servizi nelle principali aree di welfare, quantificandola nel complesso in 143,4 miliardi (+6,9% sul 2017), un valore equivalente all'8,3% del Pil. Quella dei “supporti al lavoro” emerge come la seconda area per dimensione, dopo la salute (37,7 miliardi).

Assistenza, in un anno spesa in aumento del 10% 
In Italia sono 6,4 milioni le famiglie con anziani o altre persone bisognose di assistenza. La spesa totale sostenuta nel 2018 in quest'area è stata di 27,9 miliardi, con una crescita del 10,3%, pari a un esborso medio per famiglia utilizzatrice di 13.306 euro. La domanda di servizi nelle principali aree di welfare è stata quantificata nel complesso in 143,4 miliardi (+6,9% sul 2017), un valore equivalente all'8,3% del Pil. Quella dell'assistenza emerge come il terzo ambito di spesa, dopo salute (37,7 miliardi) e supporti al lavoro (31,9).

Scuola e università, in affanno il 36% delle famiglie 
Nel 2018 la spesa delle famiglie per l'istruzione, in totale 10,5 miliardi, è aumentata in un anno del 9,4%. La spesa media per famiglia è rimasta stabile, mentre è cresciuto il numero dei nuclei che hanno effettuato spese: queste sono oggi 5,8 milioni, 22,9% delle famiglie italiane. E' quanto emerge dal secondo Rapporto sul Bilancio di welfare delle famiglie italiane curato da MBS Consulting, il principale gruppo italiano indipendente di business consulting. La spesa nelle principali aree di welfare ammonta nel complesso a 143,4 miliardi (+6,9% sul 2017), un valore equivalente all'8,3% del Pil.Si torna a parlare di famiglia. Non potrebbe essere altrimenti, Afferma Olivier Thévenon: "La famiglia intercetta molti elementi della nostra società, come non parlare di invecchiamento della popolazione senza parlare di famiglia, di bassa fecondità, le disuguaglianze e le pari opportunità che colpiscono prima di tutto i bambini".

Consideriamo che la crisi economica ha comportato un accrescimento dei bisogni di cura, inclusione e contrasto alla povertà, e la dinamica della spesa socio-assistenziale, invece di segnare un incremento, ha registrato nel periodo 2013/2017 una tendenziale stagnazione, pur se con andamenti altalenanti, e peraltro si è andata riducendo in particolare proprio nella componente più importante del welfare territoriale e dei servizi. Tra i fattori che determinano la maggiore incidenza della povertà nelle famiglie con figli minori ci sono l’insufficienza e la frammentazione di prestazioni e servizi pubblici a sostegno dei figli, che siano capaci di favorire la piena occupazione dei genitori, in particolar modo delle donne.

IL RUOLO DIFFICILE DELLE DONNE, MAMME E LAVORATRICI

Sono necessarie pertanto politiche di conciliazione tra lavoro e responsabilità familiari che intervengano in maniera coordinata su congedi e permessi, sull’organizzazione del lavoro, su istituti innovativi disciplinati dalla contrattazione collettiva e, soprattutto, sul sistema dei servizi all’infanzia, che risultano ancora troppo scarsamente diffusi. In confronto ai Paesi Ue, l’Italia investe molto meno per l’esclusione sociale rispetto al proprio Pil (0,77% contro 1,8%), per la famiglia e i minori (5,98% contro 8,08%) (dati Eurostat 2018). Secondo la Corte dei Conti, infatti, nel 2017 la spesa per prestazioni assistenziali della Pubblica amministrazione era composta per 38,2 miliardi da misure in denaro e soltanto per poco più di 10 miliardi in servizi, per lo più a carico dei Comuni.

Oltretutto si conferma la disomogeneità della spesa media dei servizi per gestire i servizi pubblici o privati convenzionati, molto variabile tra regioni con un minimo di 88 euro l’anno per un bambino calabrese e un massimo di 2.209 euro per bambino trentino con un’ulteriore crescita delle disuguaglianze tra territorio ed ente locale. Fondamentale è l’adozione di politiche pubbliche per l’inclusione educativa, sociale e lavorativa che operino in stretto coordinamento tra loro con la pluralità di strumenti, prestazioni e servizi necessari a ciascuna politica, a partire dalla diffusione e qualificazione del sistema di servizi per le famiglie con carichi di assistenza e cura e per la prima infanzia (integrato con lo 0-6 e il tempo pieno per l’inclusione educativa) e dal rafforzamento degli strumenti per il contrasto alla povertà assoluta e delle politiche attive per l’inserimento lavorativo. Mentre la realtà è che gli interventi verso la famiglia sono scarsi e insufficienti, complessivamente incoerenti, diseguali per categoria lavorativa e rapporto di lavoro, per area territoriale (nord-sud, città-provincia), e in alcuni casi variano in virtù del tipo di legame che unisce la coppia, più che rispetto alla presenza di minori/figli e, d’altronde, il modello preferenziale di riferimento delle politiche continua a essere quello della famiglia di tipo tradizionale per legami, composizione, preferenze, condizione lavorativa dei partner.

Uno degli effetti maggiormente inquietanti di questa situazione è il tasso di povertà appunto delle famiglie con minori che è il più alto in Europa, cresce al crescere del numero di figli, nelle situazioni in cui vi sia un unico percettore di reddito (specie ne casi in cui la madre è molto giovane) e in caso di genitore solo. Il sistema di trasferimenti italiano è il meno efficace nel ridurre la povertà tra i minori e inoltre in Italia non esiste a tutt’oggi una tutela universale, né un programma universale virtuoso di sostegno al reddito.

È dunque fondamentale una misura universale di sostegno al costo dei figli, di reddito minimo in grado di tutelare il cittadino dai rischi sociali, e che sia di supporto non solo alle fasce più deboli ma anche a quelle a rischio di povertà e di esclusione sociale. Allo stesso modo la disponibilità di servizi di cura dell’infanzia, che aiutano in modo sostanziale la conciliazione tra vita familiare e vita lavorativa, consentendo il rientro a lavoro della donna e quindi riducendo la penalizzazione del lavoro della madre.

C'è in questi mesi infine un ritorno di valori conservatori che rimettono in discussione diritti che parevano acquisiti. Si parla nuovamente di divorzio, di aborto (vedi il ddl Pillon in Italia).

Ma nel gioco dell'equilibrio delle parti, il ritorno sulla scena di un certo tipo di conservatorismo serve probabilmente a calmare le fughe in avanti proprio dal punto di vista legislativo, per quanto dettate dall'avanzare inesorabile della società.


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